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 Antico Borgo Coletta - C'era una volta... Il mercato del bestiame a Bettola
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C'era una volta... Il mercato del bestiame a Bettola

C'era una volta... Il mercato del bestiame a Bettola

di Claudio Gallini ©

 

Questo pezzo lo voglio dedicare ai tanti commercianti di bestiame del comprensorio di Groppallo; quelli appartenenti a un periodo, dove le strade erano tra i boschi o lungo i torrenti, dove non esistevano né autotreni e tantomeno l’asfalto.
La memoria arriva diretta alle narrazioni di mio nonno Giovanni, commerciante di bestiame dal dopoguerra fino agli anni settanta.
La vita del piccolo commerciante di bovini, era molto faticosa e significava sborsare tanti sacrifici per il sostegno della famiglia.
Il fulcro del mercato del bestiame per i Valnuresi era Bettola, non solo per la grande fiera di Settembre che sfiora oggi i 500 anni di vita, ma anche il mercato del lunedì che vedeva assiduamente la presenza dei piccoli e medi allevatori pronti per una compravendita che durava giornate intere.

Il nonno era distante da Bettola circa venti chilometri e per arrivare a un orario decente si doveva alzare il lunedì mattina alle due, una sciacquata al viso con acqua di fonte e poi andava diritto nella stalla per sfamare le bestie, senza dar loro però acqua!
Questo espediente, permetteva di far giungere vacche e buoi a Bettola belli asciutti e una volta sul posto, potevano dissetarsi abbondantemente e gonfiare i loro stomaci per sembrare più tonici e quindi attraenti agli occhi di navigati compratori.
Il più delle volte Giovanni era aiutato dal fratello e, spesso e volentieri durante le pause scolastiche estive, anche la figlia maggiore non disdegnava una camminata fino a Bettola, con il premio, una volta arrivati, di potersi godere il mercato del lunedì o ancora meglio la fiera settembrina.
Verso le quattro e trenta ci s’incamminava da Coletta con destinazione Torricelle, dove si svolgeva il mercato del bestiame del lunedì.
Franca se ne stava davanti con un bastone e un lume al petrolio per illuminare la via, mentre Giovanni e il fratello, gestivano le coppie di bestie tenute assieme dalle corna attraverso i cosiddetti “zòncar”, e se la mandria sfiorava le dieci unità ci si appoggiava all’aiuto di un terzo uomo che se ne stava in mezzo alla fila.
La strada verso Bettola era lunga e buia, il cammino era scandito dal passo dei bovini e dalle imprecazioni dei fratelli Cavanna con sbraitati “Va là!, Va indrè!”, e quando una bestia non seguiva la retta via o protestava a suo modo come se avvertisse un presagio sul proprio destino, si aggiudicava una sferrata di bastone sulla schiena e si andava avanti.
A quei tempi, prima di incontrare un’automobile, si doveva giusto giungere a Bettola e si erano fatte ormai le otto e mezza. Cristoforo legava le bestie alle postazioni di Torricelle e le abbeverava copiosamente, Giovanni lo aiutava non prima di aver consegnato alla figlia i soldi necessari per la colazione e per qualche compera al mercato in piazza.
A turno i fratelli Cavanna si recavano all’osteria per la meritata colazione a base di “picola di cavallo”, minestrone o zuppa di verdure; uno dei due doveva sempre accudire le bestie nel caso arrivasse un negoziante interessato.

 

(Giovanni Cavanna con un paio di buoi da lui allevati)

 

Il gioco a volte non valeva la candela: il viaggio, la fatica, i sacrifici magari per strappare la vendita di un solo capo; il più delle volte la trattativa durava tantissime ore, fino a tarda sera. Non era strano che la negoziazione terminava addirittura a Coletta in piena notte e mia nonna Maria doveva alzarsi a preparare da mangiare, una frittata, al marito, al cognato e all’acquirente finché finalmente si andava d’accordo ull’ammontare.
A volte non si riusciva proprio a vendere nulla e così mestamente si doveva ritornare a casa da Bettola con tutta la mandria, ma se si metteva di mezzo il mediatore, la vendita diventava una vera e propria opera teatrale che sfociava con il famoso “patto” dove il broker di allora, tagliava la stretta di mano tra il Cavanna e il fortunato cliente.
Nella maggior parte dei casi bastava la parola, ma per essere più tranquilli si doveva esibire una caparra che era concordata prima di eseguire il “patto”, ma non era difficile anche allora incappare in contenziosi dovuti a mancati pagamenti o perché la bestia acquistata e/o venduta aveva per così dire … dei vizi di fabbrica non esplicitamente descritti al mercato.
Se il contenzioso era di un certo rilievo, oltre che a un veterinario si arrivava anche in tribunale dove il costo della parcella dell’avvocato superava di gran molto il costo del bovino e di tutta la trafila fatta per arrivare fino a qui.
A Piacenza, il mercoledì, si svolgeva il mercato cittadino e in piazza Cavalli si ritrovavano, sotto la camera di commercio, tanti uomini operanti nel settore commerciale ed economico; dalla montagna giungevano i nostri negozianti per aggiornarsi sui prezzi, sui capi più in voga e sulle razze bovine più adatte alla compravendita. A Piacenza, raccontava Giovanni Cavanna, si veniva anche in tribunale quando le diatribe culminavano con una decisione super partes di un giudice.
Il giovedì poi, il buon commerciante di bestiame non poteva mancare al mercato di Bardi, il sabato a Bedonia, il martedì a Ferriere, il mercoledì a Farini, sempre rigorosamente a piedi.
Con gli occhi di oggi, queste vicende sembrano forse assurde, a basso rendimento, ma era la vita di uomini nati in simbiosi con la loro terra, con le loro bestie, uomini che davano anima e corpo per la famiglia, con tanti sacrifici per crescere i numerosi figli.

Claudio Gallini