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 Antico Borgo Coletta - Giovanni Cavanna di Coletta e la deportazione in Germania
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Giovanni Cavanna di Coletta e la deportazione in Germania

Giovanni Cavanna di Coletta e la deportazione in Germania

di Claudio Gallini 2013©

 

 

Giovanni Cavanna, classe 1915, rappresenta una delle colonne portanti delle “passate generazioni” ancora presenti in alta val Nure, più precisamente nel comune di Farini.

Giovanni è nato a Coletta il giorno 4 Novembre 1915 ed a quel villaggio è sempre rimasto legato tanto che è conosciuto in tutta la vallata come “Giannetto di Coletta”.

Oggi novantaquattrenne, nonostante qualche acciacco dell’età, dimostra di avere ancora una memoria di ferro ricordando numerosi eventi della sua giovinezza con racconti anche drammatici del passato come la deportazione nei campi di concentramento in Germania che molti della vallata non potranno mai dimenticare.

Il padre Antonio, perì durante il primo conflitto mondiale perciò il senso del dovere gli fece lasciare la scuola dopo la terza elementare per dedicarsi completamente al sostentamento della famiglia. Giovanni imparò fin da giovane il mestiere di commerciante di bestie da suo zio Giuseppe che lo portò a seguire tutti i mercati della zona da Bardi fino a Ferriere e da Farini a Bettola per tutti i giorni della settimana.

 

(Giovanni Cavanna, artigliere anno 1943)

 

Per le sue capacità e professionalità si fece conoscere in tutta la Val Nure e Val Ceno, come  uomo  amato e stimato da tutti e non esiste luogo, negozio o mercato della zona che non lo conosca per la sua bontà e altruismo.

Giovanni oltre che apprezzato per la sua correttezza è anche popolare per il suo carattere così speciale dove la parola data ha ancora un intenso significato e anche per questo il giorno 17 Gennaio  1998 fu insignito della medaglia di Cavaliere della Repubblica insieme alla sua fedele cavalla “Stella Dora” di pura razza bardigiana. Questa è la dimostrazione della riconoscenza che la gente dimostra a Giovanni.

Egli è sempre stato un grande amante degli animali, soprattutto dei cavalli e dei buoi e non era raro incontrarlo fino a pochi anni fa, con il suo “biroccio” carico di legna trainato dal cavallo o con due buoi aggiogati ad un pesante carro di legno carico di erba o addirittura con la “Lesa” (slitta).

Tanti passanti lo hanno immortalato in immagini, stupendosi e rimanendo un poco increduli  per l’utilizzo di certe attrezzature oggigiorno in disuso come il “Rastlòn” (rastrello trainato dal cavallo per ranghinare l’erba) o altri mezzi trainati da animali.

Giannetto ha ancora vivo il ricordo della sua deportazione in Germania e se anche alcuni particolari sono sbiaditi, sono lucidi e fermi invece i racconti della tremenda sofferenza trascorsa nei campi di concentramento di Berlino per ben venticinque mesi.

Nonostante fosse già orfano di guerra, con la famiglia sulle spalle, fu richiamato alle armi all’età di 28 anni ed esattamente il giorno 6 Maggio 1943 presso il 29° Dipartimento Artiglieria “Modena” in Albenga (SV) per il dichiarato stato di guerra, e successivamente internato in Germania a causa degli infausti eventi politico-militari accaduti l’8 Settembre 1943.

Giovanni racconta ancora chiaramente che le milizie tedesche arrivarono in Albenga e costrinsero militari e civili a dirigersi a piedi, sempre scortati dai mitra tedeschi, fino a Garessio (provincia di Cuneo) attraversando il Colle San Bernardo e da lì poi in treno per la Germania.

 

(17-01-98 Giovanni Cavanna riceve la medaglia di Cavaliere della Repubblica sul sagrato della chiesa di Groppallo) 

 

 

Egli scriveva alla sua fidanzata: 

 

“Mia cara il 9-9-43 sono partito da Albenga e mi hanno portato sul Colle San Bernardo ed il giorno 10 siamo stati fatti prigionieri. Dopo 6 giorni di viaggio su di un vagone di bestiame, ci hanno scaricato a Landsberg e sono rimasto lì fino al giorno 29, poi siamo partiti ancora e mi hanno portato a Berlino e non si sa mai dove si va, si va sempre con la speranza del Buon Dio che ci aiuti a tornare alle nostre case sani e salvi. Se avrò la fortuna di ritornare ti racconterò tutto quello che ho passato. Tuo per sempre Giannetto.”

 

Questi lunghi due anni di permanenza ai campi di lavoro segnarono per sempre Giovanni, ed ancora oggi ricorda i suoi compagni di deportazione, soprattutto un certo Taravella di S.Gregorio sempre vicino a lui con il quale aveva più volte pensato alla fuga, ma questi pensieri furono da subito frenati dal rischio di morire fucilati.

Giovanni era addetto allo sgombero delle macerie che si accumulavano in seguito ai bombardamenti che avvenivano nella città teutonica ed insieme ad altri cinque compagni muniti di piccone e badile dovevano ripristinare il manto stradale. Lavoravano oltre le dodici ore al giorno sempre controllati a vista con i fucili puntati e l’unico pasto consisteva in mezza gamella di brodaglia ed una fetta di pane di segale.

Lo stato di malnutrizione portò molti suoi compagni alla morte e per sopravvivere alcuni di essi andavano a turno a rubare le pelli di patate tre le immondizie della cucina. Una sera con il compagno Taravella decisero di andare anche loro ma il destino volle che una guardia nazista colse in flagranza Giovanni mentre rovistava nella buca dell’immondizia e così chiamando rinforzi, la guardia iniziò a bastonare il povero Giannetto puntualizzandogli che il giorno successivo non sarebbe andato al lavoro perché trasferito.

Egli non dormì tutta la notte non solo per le ferite ma soprattutto per il pensiero di lasciare i suoi compagni e ignaro di cosa il destino gli avrebbe riservato; giunto l’indomani venne portato in un campo secondario di Berlino distante una trentina di chilometri dal precedente ma fortunatamente non subì alcuna esecuzione. In questo campo erano stoccati diverse tipologie di cereali che i deportati dovevano preparare per la distribuzione.

Giovanni cercava tra le baracche compagni italiani, ma soprattutto fratelli piacentini ed infatti alcuni gli indicarono che nell’ultima camerata in fondo ad un corridoio c’erano dei compaesani. Questi, intenti a mangiare una poltiglia biancastra, furono inizialmente un pochino sospettosi ma al suo racconto si aprirono e gli consigliarono di procurarsi un macinino da caffè così da poter macinare un po’ di frumento, rubato dai magazzini, che misto ad acqua creava una “pappina” più nutriente della “sbobba” che le cucine del campo fornivano.

“Quella pappina”, dice Cavanna, “mi ha salvato la vita!”

Giovanni ritornò fortunatamente a casa nell’ottobre del 1945 trasferito via treno dalla Germania al centro di raccolta di Bolzano e poi a Piacenza. Le indigenze subite in Germania lo ridussero a pesare nemmeno 35Kg e si ritiene “fortunato” rispetto ad altri compagni, come Taravella, che invece non riuscirono a far ritorno a causa della malnutrizione e dei lavori forzati a cui erano costretti che gli procurarono la morte.

Al suo rientro, oltre ai famigliari, lo aspettava la fidanzata, Maria Cavanna originaria di Costabiancona, che da lì a poco diventò sua moglie. Maria raccontava spesso di quanto pregava durante quei lunghi 25 mesi ed alla fine il suo Giannetto fece ritorno.

 

(Giovanni Cavanna, 2008)

 

Giovanni e Maria si erano conosciuti nell’estate del 1942 sui prati di Banzolo durante la celebrazione della Festa di San Rocco, e dal loro matrimonio nacquero Franca, Maria e Luigia;  Giovanni non nasconde di aver voluto anche un maschio che potesse proseguire la sua attività di agricoltore e di commerciante ma adora molto le sue tre figlie che ora lo coccolano e si prendono amorevolmente cura di lui trasferitosi a Piacenza dopo la scomparsa della moglie.

Il suo pensiero ora volge sempre alla sua amata moglie Maria Cavanna scomparsa nell’Ottobre del 2006 con la quale ha condiviso tante gioie ma anche fatiche e sofferenze.

 

Claudio Gallini